Che cos’è il cinema esperienziale
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Come promesso nello scorso articolo, continuiamo ad analizzare il cinema del futuro nella sua forma immersiva. Immersività certamente legata all’esperienza che può creare nello spettatore. In questo articolo andremo quindi a parlare del cinema esperienziale tramite vecchio e nuovo storytelling, prima persona, maggior coinvolgimento dello spettatore e dei cinque sensi, e ancora dati e intelligenza artificiale.
Indice
Che cos’è un media, o “racconto mediato”
Le caratteristiche del cinema tradizionale
Ogni media ha vantaggi e svantaggi. O, potremmo dire, possibilità e impossibilità. Nel dettaglio, vediamo rapidamente le cinque caratteristiche peculiari del media al centro della nostra attenzione: il cinema.
- Struttura narrativa statica e lineare
- Modalità singola o duale
- Episodico
- Prospettiva in terza persona
- Audience passiva
Struttura narrativa statica e lineare
È la base del cinema: una struttura narrativa unidirezionale con inizio, sviluppo, climax e fine. Fissa e statica, non può ovviamente essere modificata dallo spettatore. Certo, esistono i Flashback o i Flashforward, ma non modificano sostanzialmente questo approccio alla narrazione.
C’è solitamente una catena causale: ogni passaggio narrato nella sceneggiatura, porta ad un passaggio successivo che è una conseguenza del precedente.
E i film, ovviamente, non cambiano nel tempo. Tranne rarissimi casi di errori o problemi accorsi dopo l’uscita del film (ad esempio Kubrick tagliò gli ultimi minuti di Shining dopo l’uscita nelle sale), questi restano gli stessi dal momento della pubblicazione, e per sempre.
Una buona analisi fu compiuta nel 1992 dal Prof. David Pinault in Story-Telling Techniques in the Arabian Nights.
Struttura non lineare nel cinema tradizionale
Nel cinema post-moderno c’è in realtà un concreto tentativo di modificare questa struttura lineare. Si tenta spesso di “intrecciare” la storia, lasciando allo spettatore l’uso dell’intuito e dell’istinto irrazionale per comprendere il film, mentre la logica e il dramma sono dissolti e diluiti.
La struttura lineare spesso si sviluppa in una sinfonia composta di più parti con struttura non lineare. Capiremo meglio nelle successive sezioni come questo si svilupperà ancor di più nel cinema esperienziale / interattivo, formando varie narrazioni personalizzate (cosa che ricorda i videogame).
Modalità singola o duale
Con questo si intende che il cinema coinvolge massimo uno o due sensi, vista e udito. Chiaramente il cinema attuale è sempre duale, in quanto nella categoria “a singola modalità” possiamo inserire solo i film muti.
Negli anni sono stati fatti vari tentativi di migliorare il coinvolgimento degli altri sensi. Pensiamo a grandi registi che riescono a trasmettere allo spettatore il senso del gusto, ad esempio in film come Mangiare bere uomo donna, Ratatouille o Pranzo di ferragosto. Chiaramente, è un raggiro al nostro cervello. Ma in fin dei conti, il cinema stesso lo è.
Episodico
Secondo il Prof. Jason Mittell nel suo libro Complex TV. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie tv, il cinema e i media attuali sono in genere episodici; tendono cioè a svilupparsi intorno a un evento o a una serie di eventi correlati tra loro. Questo è ancora più vero, ovviamente, nel mondo dei media giornalistici.
Si narra una storia basata su fatti e avvenimenti, reali o inventati. Viene raccontata dal punto di vista del narratore, il ché rende più semplice la fruizione per lo spettatore ma al tempo stesso lo allontana empaticamente dalla vicenda.
Prospettiva in terza persona
Questa della prospettiva è una caratteristica importante nella nostra analisi. Infatti, seppur possibili, nel cinema tradizionale le prospettive in prima e seconda persona sono da sempre poco usate. Nella storia della comunicazione in generale, se ne fece abbondante uso solo nella radio della prima metà del ‘900.
Cuore di tenebra, riadattamento radiofonico in prima persona
Come esempio, pensiamo a Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Fu riadattato nel 1938 per la radio dal regista Orson Welles (celebre per aver fatto credere agli americani di essere sotto attacco marziano tramite lo spettacolo radiofonico La guerra dei mondi, nello stesso ’38). L’obiettivo era far narrare la vicenda in prima persona direttamente dal protagonista. Interessante come lo stesso Welles, all’epoca nuovo al cinema, tentò di convincere la RKO Pictures a realizzarne la versione cinematografica.
Aveva le carte in regola per diventare uno dei più grandi film di tutti i tempi e, magari, sensibilizzare l’opinione pubblica su temi che invece, mal interpretati, portarono alla Seconda Guerra Mondiale l’anno dopo. Ma furono proprio l’uso della prima persona, oltre ai temi politici poco amati dalle Major, che probabilmente spinsero Hollywood a non considerarne la fattibilità. Era uno strappo drastico alle regole, e il mondo non ne era ancora pronto.
Tant’è, Coppola ha tentato di recuperare nel 1979 con Apocalypse Now, solo liberamente inspirato al romanzo “Cuore di tenebra” in quanto ambientato in Vietnam e non in Africa. E di certo troppo tardi per coadiuvare la pace in Europa e nel mondo.
Prima persona nella storia del cinema
C’è il realtà qualche sporadico caso di uso filmico della narrazione in prima persona, soprattutto nei suoi primi anni. Casi a volte poco conosciuti, ma che tentarono in qualche modo di cambiare il modo di vedere le cose. In primis penso a Il dottor Jekyll del 1931, in Italia più conosciuto come Dr. Jekyll and Mr. Hyde, di Rouben Mamoulian.
Altri casi furono il film del 1934 The Firebird, di William Dieterle. O ancora Una donna nel lago girato nel 1947 da Robert Montgomery, e La fuga di David Goodis dello stesso anno.
Altri due esempi, decisamente più moderni, li vedremo tra poco nella sezione sul cinema esperienziale, in quanto più utili per un confronto con il cinema che verrà.
Ho citato solo esempi di opere in prima persona, perché parlare delle opere in terza sarebbe impossibile o inutile… Sono praticamente quasi tutti i film esistenti. E poi perché, nell’ottica di realizzare il cinema del futuro maggiormente esperienziale, credo che questi spunti vadano ben tenuti in considerazione.
Poi mi direte cosa ne pensate, mi interessa essendo io più vicino al mondo tecnico che alla critica cinematografica.
Audience passiva
Come dicevamo, la storia nei media attuali, o passati, è narrata in nome e per conto del narratore. Che sia lo scrittore o il regista, il giornalista o lo speaker, tutti vi fanno vedere quello che desiderano. Vi è mai capitato di voler guardare qualcosa a lato, o dietro la camera, ma la regia non ve la mostrasse?
Succede particolarmente spesso con lo sport in TV, ed è per questo forse che la stessa televisione è tra i primi media ad esser “progredita” verso una regia decisa dallo spettatore. In Italia, come cita Wenner Gatta, quando venne inserita la “Spidercam” sui campi di calcio il telespettatore poteva scegliere con il telecomando se vedere l’incontro con la classica regia oppure tramite la sola camera spider. E da lì, soprattutto Sky ha continuato a sviluppare molto la tecnologia sfruttando più canali di trasmissione per lo stesso evento.
Dopo uno studio del cinema che fu, e che ancora è, andiamo però finalmente ad analizzare le caratteristiche del nuovo cinema, proiettato al futuro, per capire anche come superare i problemi degli ultimi 127 anni.
Le caratteristiche del cinema esperienziale: il futuro
Le cinque caratteristiche che potremo trovare, tutte o in parte, nel cinema del futuro, secondo ciò che la tecnologia attualmente mette a disposizione, possono essere:
- Immersività
- Interattività, non linearità e socialità
- Presentazione multi-sensoriale
- Algoritmico, personalizzato in tempo reale grazie ai dati
- Prospettiva in prima persona
Cinema Immersivo
Già conosciamo alcuni media parzialmente esperienziali. Pensiamo alle piattaforme immersive di realtà virtuale e realtà aumentata. Come abbiamo visto nello scorso articolo, queste sono pienamente inserite nella linea di continuità tra mondo reale e virtuale ipotizzata da Paul Milgram.
Immersione significa “avvolgere l’utente in uno spazio fisico reale utilizzando la realtà aumentata o mista su un dispositivo portatile o indossabile, includendo anche interfacce aptiche“.
Uno dei primi esempi pratici l’ho rintracciato nel paper “Situated Documentaries: Embedding Multimedia Presentations in the Real World“ (“Documentari Ambientati: Includere Presentazioni Multimediali nel Mondo Reale”), di Tobias Höllerer, Steven Feiner e John Pavlik e ripreso dall’International Symposium on Wearable Computers del 1999.
Questi “documentari ambientati” erano interamente basati su indossabili digitali (wearables), per integrare romanzi e documentari in luoghi del mondo reale. Il sistema ricorda molto gli attuali occhiali AR, ovviamente con la tecnologia disponibile nel 1999. Si trattava di uno zaino con tracker GPS e videocamera a 360° (sviluppata da Shree Nayar, della Columbia University), una tipologia di computer palmare con grafica, audio e video, e occhiali in realtà aumentata in grado di segnalare nell’ambiente reale i punti di interesse. Era chiamato MJW (Mobile Journalist Workstation).
Gli occhiali potevano anche riprodurre rudimentali video a 360° sovrapposti al reale, e lo sguardo era il principale sistema di puntamento. Fissando per almeno mezzo secondo un oggetto nel mondo reale, questo veniva selezionato producendo info e files multimediali relativi. Si poteva anche viaggiare nel tempo, toccando l’anno desiderato sul display del palmare.
Un ottimo esempio di quello che sarà, 20 anni dopo, la realtà aumentata. L’AR si sta infatti sviluppando rapidamente, divenendo di uso comune dal 2018 a seguito dell’implementazione negli iPhone delle api native ARKit (che, tra parentesi, credo sia ad oggi l’ultima innovazione degna di nota in ambito smartphone).
Punto primo del nostro cinema sarà, quindi, l’immersività. Ma certamente un’immersività diversa da quella vista finora. La base sarà infatti la storia narrata, il cinema. Non ci si immergerà nel mondo, non ci si immergerà in solitaria o in ambienti comuni virtuali. L’immersività sarà prodotta dallo schermo a 360°, dalla stereoscopia, e dalla “sala”, o cupola, con all’interno elementi legati direttamente alla storia narrata.
Gli sceneggiatori dovranno essere davvero bravi, per sviluppare trame che facciano sentire lo spettatore “partecipe”, senza però essere scontati. Come è scontata la prima cosa che mi salta in mente: far restare costantemente seduto il protagonista della storia, che deve impersonare noi spettatori. È al massimo un punto di partenza da non sottovalutare, ma soprattutto i primi tempi i brain storming saranno davvero interessanti.
Interattivo, non lineare e sociale
Parola allo spettatore; scelta. Queste possono essere le parole chiave per la struttura non lineare del cinema esperienziale; che è pertanto più complessa.
Seppur senza particolari regole, mantiene una sua logica basata su sequenza (o ordine), durata e frequenza temporali, che sono il concetto di divisione proposto dal saggista francese Gérard Gennette nel campo della narrativa letteraria, poi introdotti nel campo della critica cinematografica da Andre Gaudreault e David Bordwell.
L’ordine degli eventi nei racconti
Apriamo in questa sezione una parentesi generale sui racconti; ci sono infatti caratteristiche in comune con il futuro cinema immersivo. Gennette chiariva che l’evento potrebbe essere avvenuto:
- prima della narrazione (analessi o flashback)
- in futuro (quindi solo annunciato o previsto, la prolessi).
- Ancora, si possono narrare gli eventi in ordine diverso da come sono accaduti (anacronia), usato per rendere il racconto più avvincente.
- Più raramente può esserci un movimento tra un livello narrativo e l’altro (metalessi).
Un esempio è la “metalessi dell’autore”, una sorta di passaggio dell’autore da esterno a interno alla storia, o al contrario se un personaggio diventa narratore.
Altro esempio letterario è del poeta Virgilio, il quale “fa morire” Didone nel canto IV dell’Eneide, o Diderot che scrive in Jacques le Fataliste: “Chi mi potrebbe impedire di far sposare il Padrone e di renderlo becco?”. Entrambi esempi tratti dalla Tesi di dottorato di Armando Mollica Bonivento all’Università Ca’Foscari, che vi invito a leggere per maggiore comprensione.
La durata degli eventi nei racconti
Quindi, dopo l’ordine (evento accaduto prima, evento futuro, narrazione in ordine diverso dal reale o passaggio tra livelli di narrazione diversi), abbiamo la durata. Anche definibile come il “ritmo”, la “velocità”, al quale gli eventi vengono raccontati.
Possiamo dividerla principalmente in quattro tipologia:
- ellissi (ritmo molto accelerato), con frequenti salti cronologici;
- sintesi (ritmo relativamente rapido), in cui una storia è sintetizzata nei suoi punti principali. Possono essere di lunghezza variabile.
- scena: relativamente lenta, è la classica narrazione quasi in tempo reale. Un esempio sono i dialoghi;
- descrittivo: nessun progresso nella storia, ci si ferma a descrivere un determinato momento.
Chiaramente, queste tipologie possono essere combinate. Possiamo avere, ad esempio, una sintesi inserita all’interno di un dialogo.
La frequenza degli eventi nei racconti
La frequenza non è altro che il rapporto tra quante volte che un determinato evento avviene nella realtà (anche inventata), e quante viene raccontato. Se, in pratica, viene narrato più volte lo stesso evento (o ripetuta la stessa affermazione di un personaggio).
Vi lascio il link ad un’interessante articolo sulla questione, da cui è tratta l’immagine seguente.
Il cinema del futuro ha una struttura non lineare intersoggettiva
Dopo questa lunga parentesi, cerchiamo di capire perché il racconto, o la sceneggiatura, per il cinema del futuro è decisamente più complesso. Infatti tutti questi elementi devono essere inseriti all’interno di una struttura non lineare intersoggettiva. Cioè il racconto può andare avanti e indietro nel tempo, in un ambiente comune ad altri spettatori che potrebbero voler fare scelte differenti dalle nostre.
L’intersoggettività è il più grande problema da risolvere nella scrittura delle nuove sceneggiature. Se infatti l’interattività è un concetto già molto conosciuto grazie ai videogiochi, un’interattività in comune tra più persone, con necessariamente uno schermo che mostri a tutti le stesse immagini, presume che si crei una piccola democrazia all’interno della sala.
La struttura non lineare intersoggettiva ha un grande vantaggio: rispetta lo spettatore. Concede il diritto a scegliere la propria storia, a giudicare la moralità di alcune scene. Lo spettatore diviene il centro del film, nonché una parte di esso. Il cinema attuale è decisamente troppo a senso unico, e se ha vissuto invariato per tanti anni è solo per la semplicità (insita nelle caratteristiche) di usarlo come mezzo di propaganda politica e commerciale.
Ragionando sull’utilizzo medio del cinema, che è anche e soprattutto un momento di relax e svago poco attivo, non dobbiamo però cadere nella tentazione di inserire eccessiva “gamification”, trasformandolo in un videogioco. Voglio dire, al giorno d’oggi si va al cinema per rilassarsi con gli amici o con la famiglia, per passare del tempo senza pensare troppo. E scegliere implica pensare… È per questo che l’interattività deve essere limitata e neppure obbligatoria, e probabilmente non sarà la priorità assoluta nella creazione del cinema del futuro.
Vedremo in qualche futuro articolo perché il cinema interattivo non ha avuto successo nelle, seppur poche, esperienze passate. Ma è collegato a questo.
Presentazione multi-sensoriale
Il media esperienziale può sembrare una novità degli ultimi anni, ma non è del tutto vero. Da secoli l’umanità ne sviluppa le caratteristiche peculiari, migliorando la tecnologia disponibile a piccoli passi ma costanti.
Dispositivi indossabili per coinvolgere i sensi
Secondo quando riportato dal Prof. John V. Pavlik nel libro “Journalism in the Age of Virtual Reality” (Giornalismo al tempo della realtà virtuale, 2019, Columbia University Press), la prima esperienza di dispositivi “indossabili” (wearables) può riassumersi nell’invenzione cinese dell’anello / abaco, strumento di misurazione indossabile risalente alla dinastia Qing del diciassettesimo secolo.
A seguire in Europa, nel 1780 venne sviluppato il “pedometro”, un conta passi, per arrivare al 1965 con il tentativo americano (non riuscito) di realizzare il primo esoscheletro (Hardiman) per permettere agli esseri umani di alzare fino a 650 Kg.
Negli ultimi anni sicuramente gli sviluppi sono molto più rapidi, anche grazie alla scala logaritmica della tecnologia che difficilmente si arresta una volta partita. Per capire, sapevate che nel 2004, solo 18 anni fa, uscì la videocamera indossabile GoPro… E che usava addirittura la pellicola 35mm?
Il cinema ci stimola fisiologicamente e sensualmente
Il mio corpo non è solo un oggetto tra tutti gli oggetti, ma un oggetto sensibile a tutti gli altri, che riverbera a tutti i suoni, vibra a tutti i colori e fornisce alle parole il loro significato primordiale attraverso il modo in cui le riceve.
Maurice Merleau-Ponty in Fenomenologia della percezione
All’inizio di questo paragrafo ho inserito il trailer del film Lezioni di Piano, capolavoro di Jane Campion del 1993. L’ho scelto in quanto ottimo esempio di come il cinema attuale tenti, in modi più o meno ortodossi, di ingannare il cervello al fine di coinvolgere sensi non direttamente implicati (il tatto in questo caso). Vi invito anche a rivedere lo scorso articolo in cui si parlava di Matthew Shifrin e i suoi Lego per i non vedenti.
Questa è la magia del cinema. L’arte in questo settore ha raggiunto vette inimmaginabili, seppur si provi a pensare a come andare oltre. A come stimolare materialmente gli altri sensi. Anche se già negli anni ’40, il filosofo Siegfried Kracauer scriveva:
Gli elementi materiali che si presentano nei film stimolano direttamente gli strati materiali dell’essere umano: i suoi nervi, i suoi sensi, la sua intera sostanza fisiologica.
Siegfried Kracauer
Come coinvolgere i cinque sensi al cinema
Come coinvolgere quindi i cinque sensi, o almeno più di due, nel cinema? Bisognerà procedere per tappe, man mano che la tecnologia lo consentirà. Prendiamo quindi in considerazione gli esperimenti fatti in passato, per capire in seguito come possiamo NOI coinvolgere i cinque sensi per i nostri spettatori.
Tatto
Intanto il tatto: William Castle, nel 1959 girò l’horror Il Mostro di Sangue. Inserì nelle sedie di alcuni cinema un dispositivo vibrante chiamato “Percepto!”, che era sincronizzato con l’azione. Lo stesso Castle era un genio del male… Prima della proiezione di Macabro, del 1958, fece consegnare a tutti una polizza assicurativa di 1000 dollari in caso di morte, di paura, durante il film. Poi durante il film La casa dei fantasmi del 1959, faceva entrare uno scheletro fosforescente sopra la platea. Basato su un sistema di carrucole chiamato “Emergo“.
E infine c’è “Illusion-O“, lanciato col film I tredici fantasmi: tutti gli elementi nell’inquadratura, ad eccezione dei fantasmi, erano sottoposti ad un filtro blu. I fantasmi avevano invece un filtro rosso, ed erano sovrapposti al fotogramma. Il pubblico riceveva dei cartoncini con filtri rossi e blu: guardando attraverso il filtro blu non si vedevano quindi i fantasmi. Attraverso il filtro rosso, invece si vedevano.
Ancora sul tatto, ovviamente i moderni cinema 4D che tutti conosciamo hanno le intere sedie vibranti, oltre a corde che toccano le gambe, ventole per l’effetto vento (caldo o freddo) e spruzzini d’acqua per l’umidità.
Olfatto
L’olfatto: una strategia fu adottata da John Waters per il film Polyester, del 1981. Si tratta del sistema “Odorama”, in pratica delle card con numeri da grattare. Ogni numero ha un odore (rosa, pizza ecc…), che si può annusare al momento richiesto (un piccolo numero appariva sullo schermo).
Altro tentativo del 1960 fu Smell-O-Vision, usato solo in Scent of Mystery prodotto da Mike Todd Jr (figlio del famoso Mike Todd Senior, autore de Il giro del mondo in 80 giorni). Smell-O-Vision prevedeva l’immissione di fino a 30 odori evocativi nella platea attraverso tubi che portavano ai singoli posti in sala, con bottiglie di profumo tenute su un tamburo rotante.
Oggi un’azienda ha ripreso il concetto in una moderna produzione industriale, chiamata Olorama. Con cui sarebbe bello collaborare; obiettivamente il sistema pare molto più funzionale di card da odorare (poi effettivamente riutilizzate solo in un paio di film per bambini).
Sono interessanti le critiche che ebbe. Secondo il Time, alcuni spettatori hanno lamentato ritardi tra l’odore e la scena, altri hanno trovato che i profumi si mescolavano in modo sgradevole, Henny Youngman disse che non capiva il film perché aveva il raffreddore.
Altri inconvenienti a cui fare parecchia attenzione sono nausea e malditesta causati da profumazioni troppo forti e persistenti, possibili fastidi, distrazioni e aria pesante.
Cito, per completezza di informazione, l’AromaRama di Walter Reade Jr.. Differenza fondamentale con lo Smell-O-Vision? Semplicemente, l’AromaRama usava l’impianto di climatizzazione per la diffusione degli aromi. Furbo.
Mangiare con un altro è un modo per dire: “Sono con te, mi piaci, formiamo una comunità insieme”.
Thomas C. Foster
Gusto
Abbiamo visto tatto ed olfatto, manca evidentemente il gusto. Seppur siano stati fatti passi avanti verso sistemi di “trasmissione” del gusto (mediante oggetti da leccare), non credo siano ancora abbastanza sviluppati e, soprattutto, non siamo ancora pronti ad accoglierli. E non so se mai lo saremo…
Però durante alcune proiezioni de La fabbrica di cioccolato, sono stati forniti cioccolatini Wonka agli spettatori. E da questo mi è nata l’idea di fornire direttamente il cibo proiettato, realmente agli spettatori. Un vantaggio doppio: per l’immedesimazione nel film, e per l’economia del cinema e i clienti che rispettivamente venderebbe e acquisterebbe cibo migliore di pop corn e Coca Cola.
Ho presto scoperto come quest’idea non è proprio originale: nel 2012 a Londra, più precisamente a Notting Hill, si svolse Edible Cinema. Fu una collaborazione tra il team di Soho House, l’organizzatrice Polly Betton e il designer di cibo sperimentale Andrew Stellitano. Basicamente, ogni presente aveva dei sacchetti e bicchieri numerati contenenti cibo e bevande, sulle poltrone c’era anche un menu che spiegava i pasti, e una donna appariva sul lato dello schermo durante il film per indicare il momento di mangiare o bere ciascun numero.
Algoritmico, personalizzato in tempo reale grazie ai dati
In una società dati-centrica, il cinema non può restare a guardare. Certo, nel rispetto della privacy e possibilmente senza usare questi dati per scopi poco nobili.
Una grande utilità potrà venire dalla geolocalizzazione all’interno della cupola, per inviare eventualmente segnali diversi ai differenti spettatori. Ma, soprattutto, si potrà tener conto della direzione dello sguardo di questi ultimi per comprendere cosa è più interessante, e per avere un “dispositivo di input” più passivo, e quindi meno stancante, per l’interattività di cui abbiamo appena parlato.
Altri dati anonimizzati, come le risposte fisiologiche attimo per attimo, potranno esser utili per lo sviluppo dei successivi film e valutare le reazioni del pubblico. Che, in un successivo sviluppo del cinema esperienziale, potranno anche essere sfruttati all’interno della stessa storia (ad esempio, gestire interattivamente i volumi per aumentare o diminuire le reazioni umane).
Women’s Aid, un primo esempio di pubblicità interattiva algoritmica
Alla Giornata Mondiale delle Donne del 2015, nel centro direzionale Canary Wharf di Londra, venne installata una gigantografia interattiva rappresentante il volto di una donna vittima di violenza. Venne usata una videocamera provvista di riconoscimento facciale per aggiornare un contatore e modificare l’immagine ogni volta che un passante prestava attenzione alla pubblicità. Fu un tipico esempio, seppur nel settore della pubblicità progresso, di utilizzo dei dati per modificare il risultato ottenuto.
Intelligenza artificiale per lo storytelling
Già oggi molte storie vengono create con l’intelligenza artificiale, come fa ad esempio l’Associated Press americana. Il Times ha creato anche un robot algoritmico, il QuakeBot, che acquisisce automaticamente i dati dell’U.S. Geological Survey, ente statunitense di analisi dei terremoti, per scrivere automaticamente l’articolo completo di magnitudo, epicentro e orario. All’editore umano non resta che verificarne la correttezza e pubblicare.
Questi robot, queste intelligenze artificiali, sono portati allo sviluppo di storie sempre più coinvolgenti, interattive e multisensoriali. Ciò che sarà fondamentale per il cinema del futuro, per coadiuvare gli sceneggiatori umani nello scritture di storie sempre più complesse e ingestibili autonomamente.
Inoltre, questi saranno in grado di sfruttare i dati presenti nel mondo, e nei cinema stessi. Per creare storie “su misura” del pubblico di riferimento.
La stessa intelligenza artificiale è, e sarà sempre più, usata nella produzione tecnica dei video. Google, ad esempio, ha il compilatore Jump (ben descritto nel loro stesso paper), che si occupa dell’unione, stitching, di 16 stream video ad altissima qualità per ottenere un completo video VR a 360°. Il principale risultato ottenuto è stata l’eliminazione di gran parte della latenza, per aumentare quindi il senso di realtà dell’immagine mostrata.
In definitiva, l’AI sarà di certo al centro dell’attenzione. E, per evitare polemiche, dovrà essere usata anche con i guanti di piombo, mettendo al centro la privacy e l’importanza dell’essere umano.
Prospettiva in prima persona
Già conosciamo alcuni media parzialmente esperienziali. Pensiamo alle piattaforme immersive di realtà virtuale e realtà aumentata. Come abbiamo visto nello scorso articolo, queste sono pienamente inserite nella linea di continuità tra mondo reale e virtuale ipotizzata da Paul Milgram.
Queste sono chiaramente in prima persona, in quanto il vero protagonista della storia siamo noi stessi. L’esperienza è data dal contatto (benché ancora virtuale), e dall’osservazione diretta di oggetti ed eventi nelle modalità che più ci aggradano.
Il cinema esperienziale dovrà spesso essere in prima persona. Questo a differenza della maggior parte dei film presenti e passati, che invece puntano a raccontarci storie con occhi esterni alla vicenda. Ma la nostra sarà una prima persona differente: saremo noi spettatori, il personaggio principale. Di recente, nel 2016, ha avuto un buon successo il film Hardcore, diretto dal musicista russo Il’ja Najšuller. Evidentemente produrre cinema venendo da un background culturale esterno ad esso, aiuta a rischiare e ad innovarlo.
L’intero Hardcore è girato in prima persona. Il successo reputo sia meritato, ed è un buon punto di riferimento per il cinema che verrà. Un modo di narrare proprio dei videogiochi, che ci invita nella vita di qualcun altro, guardando il mondo attraverso i suoi occhi. Ecco, la sola differenza credo sia che dovrà essere la nostra vita, inserita nel nuovo cinema. Lo so, fa paura, ma gli sceneggiatori non dovrebbero narrarci neppure quella…
Voglio citare anche un altro film, non interamente in prima persona (il protagonista si vede in varie scene, allontanando l’effetto di immedesimazione totale) ma che ha dalla sua una trama decisamente più costruita e coinvolgente di Hardcore: Enter the Void, del 2009, diretto dal regista argentino Gaspar Noé.
Due film che vi consiglio di vedere, primo perché sarà un’esperienza particolare e diversa dal solito. Secondo, per avere un assaggio (seppur ridotto) di quello che sarà il cinema di qui a qualche anno.
Immedesimare tutti nella storia del cinema esperienziale
Come si può costruire un film per molti, che possa rappresentare realisticamente la vita di ognuno di loro? Ancora una volta, gli sceneggiatori dovranno fare un ottimo lavoro di introspezione plurima. Creando storie coinvolgenti ma generaliste, inserendo personaggi che anche nella storia saranno novità per il protagonista. Nessun parente conosciuto, forse un cugino lontano che non sapevamo di avere. Nulla di più.
Nel 2015, in occasione della quarta conferenza internazionale su Design, Esperienza Utente e Usabilità a Los Angeles, Aaron Marcus ha raccolto in un utilissimo libro una serie di informazioni sull’attuale rapporto tra informatica, mondo virtuale e esseri umani. Basandosi sull’assunto che ognuno di noi ha la propria cultura e la propria conoscenza, il design (e quindi chi lo crea) deve lasciarci la libertà di sperimentare, di avere dubbi e pensieri, deve costruire un mondo accettato da tutte le culture personali degli spettatori e, allo stesso tempo, proporre la propria idea di universo.
Abbiamo voglia e necessità di riflettere, di capire. E questo porta per assurdo all’iperreale, cioè ad una costruzione del mondo virtuale fedelissima al mondo reale, in cui sperimentare e presenziare in prima persona.
L’importanza della socialità nel cinema del futuro
Abbiamo visto, parlando della prospettiva in prima persona, che la tecnologia ci permette ormai di decidere un luogo, in un determinato momento storico, e vivere virtualmente in esso. Ma una cosa sarà importante: dovremo viverlo con gli altri.
La socialità è un tema da non sottovalutare: non esiste una vita da soli. Per ricostruire il reale nel virtuale, devono quindi essere necessariamente presenti altri esseri umani (e viventi in generale). E una concreta interazione con essi.
Fondamentalmente, la realtà è un concetto insito nella nostra mente. Molte cose sono reali per me e per te, mentre altre lo sono solo per uno di noi due. La realtà “mediata” ha una complessità insita in questo, principalmente perché deve poter riprodurre una sintesi delle nostre realtà personali.
Mi spiego meglio con un esempio: Aurora ha l’abitudine di chiamare sua madre in caso di problemi. Nella sua realtà, la mamma è sempre presente. Le dà consigli, la abbraccia, le offre il suo sostegno costante. Marco, invece, ha un brutto rapporto con sua mamma. Ha sempre avuto problemi, ha provato per anni ad aiutarla ma senza alcun risultato.
La realtà di Aurora richiede una mamma amorevole e molto presente, al contrario quella di Marco la rigetta. Gli sceneggiatori del nuovo cinema dovranno quindi essere in grado di cadere nell’iperrealismo, senza causare incidenti morali con alcuno degli spettatori. Come si risolve questo? I personaggi importanti potranno, o forse dovranno, essere ambigui. Un carattere ambiguo che permetta a ognuno di “accettarlo” mischiando la propria realtà interiore con quella riprodotta e quindi “mediata”. Vederli, insomma, un po’ come si vuole.
In definitiva, la parte “statica” del mondo reale, come alberi e case, è sempre presente. E facilmente riproducibile. Di contro, la parte umana, la parte sociale, rappresenta una scelta definitivamente più complessa seppur non insuperabile.
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